STARS BE ORIGINAL

La mia vita: la vita da animatore

Da sempre Stars Be Original forma animatori turistici che andranno a lavorare in giro per il mondo. Ma come si diventa animatori? Fare l’animatore è uno dei lavori più belli del mondo ma è anche molto difficile. 

L’animatore ha il compito di portare sorrisi agli ospiti, di farli ridere, di farli divertire, di rendere la loro vacanza indimenticabile. C’è chi dice che sia una vocazione, chi invece ha imparato facendosi le ossa con l’esperienza. Ma come si sceglie davvero di diventare animatore? Che cosa spinge le persone a candidarsi per questo ruolo?

Per rispondere a questa domanda abbiamo riportato la testimonianza di Giacomo Bertò, che racconta come ha deciso di diventare una Stars.

“Che giri fanno due vite.”
Canta così Marco Mengoni nel suo singolo che lo ha portato a vincere l’ultima edizione del Festival di Sanremo: e alla fine ha ragione, basta pensarci. Io ho avuto modo di viverlo sulla mia pelle, e la storia di queste vite inizia un po’ di anni fa.


Ho avuto la fortuna di crescere viaggiando, esplorando il Mondo, e questo mi ha permesso di entrare sin da piccolo in contatto con la realtà dei villaggi turistici. Ricordo che le emozioni iniziavano a farsi sentire con insistenza nella notte prima della partenza; gli occhi verso il soffitto, il sonno che non arrivava e la testa che in viaggio era già da tempo, fra curiosità ed adrenalina. Sognavo il mare, sorridevo al solo pensiero dei miei piedi a contatto con la sabbia, ma non sapevo che nei villaggi avrei trovato molto di più.


Lo ricordo molto bene il primo staff di animazione che ho conosciuto: quanti erano – pensavo -,tutti diversi fra loro eppure accomunati da una forte passione, lo respiravo proprio, mi bastava osservarli. Ero rapito dalla loro solarità, dalla gioia che traspariva in ogni attività che proponevano e dalla purezza con la quale affrontavano tutte le chiacchierate con gli ospiti.
Passavo le mie giornate così, godendomi il mare che aspettavo per tutto l’anno e con gli occhi fissi su di loro: ognuno con i propri incarichi, con i propri modi di fare e proporsi, eppure arrivavano tutti là. Al cuore delle persone. E questo per me era affascinante, mi affezionavo a quei ragazzi e gli occhi mi si inumidivano all’idea che nel giro di pochi giorni li avrei dovuti salutare.


Perché i giorni in villaggio è come se durassero più di ventiquattro ore, non ve lo so spiegare bene forse, ma se ne avete vissuto almeno uno anche voi sapete di cosa sto parlando.


Ho un ricordo fisso nel mio cuore e nella mia testa, e credo che sia stato quello a segnarmi. Angelo, si chiamava così il capo-animazione, un giorno è venuto da me e i miei genitori insieme a Beatrice, un’altra ragazza dello staff: mi hanno proposto di salire sul palco con loro nel musical dell’ultimo giorno, il grande spettacolo che avrebbe chiuso la settimana, La bella e la bestia. Avevano pensato e scelto me, sì proprio me, per interpretare una piccola parte, quella di Chicco. Quella sera non la dimenticherò mai: mi sembra di averli davanti a me ancora adesso quei ragazzi, seduti sulle loro sedie intenti a ripassare la parte, a indossare i vestiti di scena e a riprendere fiato prima che il sipario si alzasse. Mi sembrava di essere nella tana segreta di una squadra di supereroi, di averla trovata da solo e inaspettatamente, e il mio cuore batteva così forte che mi sono dimenticato di tutto. Ero fermo, immobile, in silenzio, con il sorriso che piano piano si impossessava del mio volto.


Li vedevo stanchi, li vedevo da un’altra prospettiva, avevo come la percezione di poter conoscere una parte di loro che durante la giornata non potevano mostrare. Era come se fossi entrato in punta di piedi nella casa di una grande ed affiatata famiglia. Mi sono preparato, ho ripetuto le mie battute e ho atteso il momento del mio ingresso in scena. Su quel palco ho provato emozioni nuove, mi sono sentito bene, e quando in chiusura ho ballato la sigla con loro, mi è sembrato di essere seduto su una stella e di potermi godere tutto insieme a lei.


Poi la musica è finita e tutti noi ci siamo fermati. Ecco, eccolo il momento che mi ha dato una risposta. La gente si è alzata in piedi e ha iniziato ad applaudire, e lo faceva tanto, lo faceva forte. Applaudivano e qualcuno piangeva pure. Io quella standing ovation me la sono goduta fino alla fine, ma l’ho fatto per una buona parte guardando i ragazzi con i quali avevo condiviso il palco. Lo staff di animazione. Erano seduti per terra, vicini ed abbracciati, con gli occhi lucidi. E senza accorgermene ho provato un brivido lungo tutta la schiena, e mi sono tuffato fra di loro, in lacrime.In quel momento ho capito quanti sacrifici e quanta passione si nascondevano dietro a quegli animatori in divisa. In quel momento ho capito che per loro non c’era nulla che valesse più dell’amore della gente. Da quell’anno, crescendo, ho avuto modo di conoscere sempre di più il mondo dell’intrattenimento turistico, di legare con chi ne faceva parte.


Ma in quell’estate, con quel gruppo, su quel palco, con il cielo che sembrava sorridere, l’ho sentito forte dentro di me: qualsiasi cosa sarebbe successa nella mia vita, un giorno l’avrei voluto fare anche io. Essere come loro, essere uno di loro. Avevo 6 anni, era presto per programmarlo, ero piccolo: ma con il passare del tempo, villaggio dopo villaggio, questo desiderio non ha fatto altro che piantare le sue radici in me.


La mia vita. La vita da animatore.
Un giro durato anni, un giro che ha portato queste due vite, queste due strade, ad unirsi.

Giacomo Bertò